“Io ricordo”. Foibe ed esodo è il titolo dell’incontro-dibattito che si è tenuto nell’aula magna del Liceo “Nino Cortese” a ricordo dei Martiri delle foibe e dell’esodo Giuliano- dalmata il 9 febbraio.
Organizzato in collaborazione con il Comitato 10 Febbraio, ha visto la presenza del dott. Lugi Bove, presidente dello stesso comitato. Sono intervenuti il prof. Clemente Sparaco, docente di storia del Liceo, e l’ing. Guido Botteri, esule da Zara. Ha moderato l’avv. Luca Ugo Tramontano. Hanno partecipato tutte le dieci quinte dell’istituto
Sul filo di quella che dal 2004 (anno della promulgazione della Legge 30 marzo 2004, n. 92, istituente “La giornata del ricordo”) è memoria condivisa si è snodata la rievocazione, fra storia e testimonianza personale, per comprendere quanto accadde e perché non si ripeta un domani né in quei luoghi né altrove. «Lassù arrivavano gli autocarri della morte con il loro carico di disgraziati ‒ è scritto in un documento allegato a un dossier presentato dalla delegazione italiana alla conferenza di Parigi nel 1947. ‒ Questi, con le mani straziate dal filo di ferro e spesso avvinti fra loro a catena, venivano sospinti a gruppi verso l’orlo dell’abisso. Una scarica di mitra ai primi faceva precipitare tutti nel baratro. Sul fondo chi non trovava morte istantanea dopo un volo di 200 metri, continuava ad agonizzare tra gli spasmi delle ferite e le lacerazioni riportate nella caduta tra gli spuntoni di roccia. Molte vittime erano prima spogliate e seviziate». E che dire di Zara, la città dell’Ing. Botteri, bombardata 54 volte con un carico di 2,9 t. di bombe e devastata con i suoi oltre 2.000 morti (il 10 per cento della popolazione)
Quindi, venne l’Esodo, che fu di chi scelse di restare italiano, anche a costo di lasciare tutto, casa, affetti, riferimenti, per ritrovarsi esule in qualche campo profughi, spesso incompreso, se non disprezzato. A questo punto la testimonianza sul filo dei ricordi personali e familiari dell’ing. Botteri si è fatta commovente, per certi versi lacerante, tanto più che nelle sue parole non c’era traccia di risentimento né di rivalsa. Egli ha semmai rivendicato con orgoglio che il suo popolo giuliano-dalmata mai ha risposto con la violenza alla prevaricazione, laddove le sue ragioni sono state misconosciute a livello internazionale e nazionale.
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